mercoledì 4 ottobre 2017

LA SPAGNA E IL CASO CATALANO: L’UNITA’ DI DESTINO DELLA NAZIONE OLTRE LA DISGREGAZIONE MONDIALISTA…

"La Spagna è una unità di destino nell'universale. Ogni cospirazione contro questa unità è da ripugnare. Ogni separatismo è un crimine che non perdoneremo. La costituzione vigente, in quanto incitante alle disgregazioni, attenta all'unità di destino della Spagna. Per questo noi esigiamo il suo istantaneo annullamento". José Antonio primo De Rivera
Per farsi un’idea sul caso catalano basterebbero i finanziamenti di Soros, gli articoli dell’Huffington Post e il coro unanime delle oligarchie europee. Tuttavia, vogliamo andare oltre e sviluppare un’analisi che tenga conto delle tante sfumature di un dibattito che non nasce oggi e che - da sempre - ci vede schierati con l’integrità della Nazione spagnola. Lo facciamo con qualche giorno di ritardo per tre motivi: il primo risiede nella nostra allergia per lo spirito del tifoso, che i social network ospitano con fin troppa leggerezza; il secondo è da ricercarsi nella necessità di offrire un giudizio a freddo, con la lucidità di chi ha osservato, ponderato e giudicato la situazione; il terzo è dovuto alla tentazione di non aggiungere l’ennesimo articolo al mare magnum delle analisi e delle invettive. Lo facciamo con un lungo articolo, perchè non vogliamo parlare per slogan e frasi fatte.
Quella andata in scena nei giorni scorsi, come molti hanno intuito, è stata una pagliacciata che solo la dilettantesca gestione di Rajoy ha reso drammatica e seria. L’autoproclamazione del Referendum, che nei numeri e nelle modalità di gestione si è rivelato una sconfitta per i separatisti, sarebbe stato etichettato come un flop e dimenticato nell’arco di qualche settimana se la Polizia non avesse malmenato i cittadini davanti alle telecamere di tutto il mondo, offrendo il destro alle narrazioni del martirologio democratico di un “popolo assetato di libertà al quale viene negata la possibilità di esprimere un voto”. Ma, ingenuità politiche a parte, quella dell’autodeterminazione catalana è una questione che dobbiamo affrontare storicamente.
Anzitutto: l’integrità spagnola non deve essere perseguita in un nome di un centralismo superato e codino, magari caratterizzato da un nazionalismo artefatto e superficiale di stampo borghese e conservatore. L’unità di destino nell’universale, della quale parlava Josè Antonio Primo de Rivera, non era un nazionalismo patriottardo e ipocrita, ma un nesso atemporale con il sangue e con il suolo. Ramiro Ledesma Ramos, nel 1931, affermava: “Il problema della Catalogna non è altro che uno dei tanti esempi concreti che denunciano fra noi un altro problema con più profonde radici: il fallimento della struttura esistente nel nostro Stato”. Ieri come oggi, dunque, l’autonomia e il separatismo non erano la soluzione: la ricerca di una nuova armonia, che rispettasse le spinte identitarie per coniugarle in un nuovo modello di inclinazione imperiale, era ritenuta necessaria. Un “nuovo Stato, i cui fini non erano quelli di risolvere altri problemi precedenti ad esso, e ad esso per tanto estranei, ma quello di rendere impossibili tutti i problemi”. E Josè Antonio Primo de Rivera puntualizzava: “La nazione non è un’entità fisica che si individua per le sue caratteristiche orografiche, etniche o linguistiche, ma un’entità storica che si caratterizza per una propria unità di destino. (…) È la Spagna la nazione, non alcuno dei popoli che la compongono. Quando questi popoli si riunirono, trovarono la giustificazione storica della loro esistenza”. Lo spirito nazionale al quale ci richiamiamo, dunque, è rivoluzionario e non reazionario; è vitale e non limitato alla sopravvivenza; è dinamico e non statico. Ecco perché non riteniamo di dover difendere un esecutivo in carica o un meccanismo burocratico, ma una Patria: i primi sono effimeri e temporanei, la seconda è profonda ed eterna.
Ma andiamo per gradi. La Catalogna non è mai stata indipendente: la sua storia è inestricabilmente connessa a quella della Spagna. Fin dal lontano 1137 - infatti - ha costituito la “Corona d’Aragona”, seppur con un certo margine di autonomia. La nazione castigliana, complici i Re cattolici, è una delle prime al mondo: dalla penisola iberica si radica un impero che varca le colonne d’Ercole e arriva oltreoceano. La Spagna, che ritrova una propria unità territoriale con la Reconquista, può vantare una storia nazionale di lungo corso. La Catalogna è parte di quella storia: è sempre stata inserita nel solco spagnolo, fatta eccezione per la Guerra dei Trent’anni, che comportò un risentimento anti-castigliano che - però - la fece confluire nell’orbita francese per dodici anni, dal 1640 al 1652. Quello che i separatisti odierni assurgono a precedente storico, dunque, è il caso di una Catalogna che si configura come provincia francese e non come Stato indipendente. Il catalanismo ha inizio nel 18° secolo, grazie alla concessione spagnola di un’autonomia di commercio che portò i catalani ad aprire una rotta verso l’America: la rinnovata spinta “identitaria”, dunque, ha un’origine economica che viene oggi confermata dalle rivendicazioni fiscali dei separatisti. Neanche sotto la Repubblica del 1931-1939 la Catalogna è stata indipendente: ad una iniziale Repubblica Catalana, esistente solo sulla carta, si sostituì poco dopo un governo regionale autonomo e inserito nell’entità statale spagnola, dove è rimasto fino ad oggi. E, occorre ricordarlo, per preservare una Spagna unita hanno combattuto e sono morti migliaia di italiani, partiti volontari nella Guerra Civile ed oggi sepolti sul suolo spagnolo.
Chi paragona il caso catalano a quello irlandese, tibetano o palestinese è totalmente fuori strada. Barcellona non è Belfast, Lhasa o Gaza; non vi sono eserciti di occupazione o leggi speciali; non vi sono carri armati e discriminazioni; non si praticano torture e processi sommari. A Belfast, Lhasa e Gaza la popolazione locale è stata vittima di un settarismo che ha impedito la sopravvivenza fisica ed economica degli autoctoni in casa propria - per favorire gli occupanti o i suoi lealisti - mentre a Barcellona si lamenta un gettito fiscale che non rende giustizia alle necessità di una regione che lavora e produce più delle altre. La Guardia Civil, che ha comunque operato con ingenua brutalità, rappresenta la Polizia dello Stato nel quale i catalani hanno sempre vissuto e non una forza militare straniera: essa ha difeso l’integrità di un’entità statale che potrà non piacere, ma che non si è imposta con la forza annettendo un territorio precedente autonomo. Paragonare, come è stato fatto, l’arrivo della Guardia Civil all’ingresso dei carri armati sovietici a Budapest e Praga è fuorviante: la Spagna del 2017 non è una dittatura feroce imposta con i massacri e la censura preventiva, ma una democrazia moderna e una Nazione con una storia antica. E non serve uno Jan Palach per far conoscere la causa catalana al mondo, perché i grandi poteri economici, politici e mediatici sono già schierati al fianco degli indipendentisti, contribuendo in modo determinante a legittimarne l’azione.
Chi difende la causa catalana in nome del “diritto all’autodeterminazione dei popoli”, infine, dovrebbe interrogarsi sulla natura della stessa, dapprima in assoluto e successivamente in relazione ai casi analoghi. Scrive Adriano Scianca: “come concetto, poi, l’autodeterminazione dei popoli intesa in senso giusnaturalistico non esce dal medesimo quadro filosofico, politico ed etico della ideologia dei diritti dell’uomo in generale. Si tratta, peraltro, di una contraddizione in termini: chi si “autodetermina”, cioè si determina “da solo” (autos), non deve reclamare alcun diritto. Molto semplicemente, si prende ciò che è suo, come è sempre accaduto nella storia. Viceversa, stabilire un principio astratto per cui ogni popolo ha diritto ad autodeterminarsi, a prescindere da ogni considerazione di contesto, appare decisamente folle. E poi con quale criterio? Quello maggioritario? Allora dovremmo benedire il Kosovo, narcostato islamista nel cuore dell’Europa “autodeterminatosi” su una terra che non era dei kosovari, ma in cui questi ultimi erano divenuti maggioranza grazie alla demografia e all’aiutino turco-americano. E perché no, un domani potremo assistere a dei nigeriani che si “autodeterminano” in casa nostra o degli arabi che lo fanno in Francia”. Per la Spagna sono morti in milioni e nello Stato nazionale - con tutte le sue contraddizioni e i suoi limiti - sono oggi presenti degli elementi di sovranità politica che, se organizzati e incanalati nella giusta direzione, possono fungere da argine allo strapotere dell’evanescenza finanziaria.
Ma a chi giova una Catalogna indipendente? Senza dubbio a quei poteri che spingono per la realizzazione del processo mondialista, fondato sulla disgregazione degli Stati sovrani e la coagulazione di nuove entità, fedeli alla linea tecnofinanziaria e facilmente controllabili dalle èlite eurocratiche. Non è un caso che l’estabilishment occidentale, per bocca di molti dei suoi più autorevoli burattinai, abbia espresso solidarietà alla causa catalana, cercando di legittimare un referendum illegittimo. La stessa solerzia non è stata riscontrata in Crimea, dove un esito bulgaro ha decretato il ritorno della penisola nella Federazione Russa, in reazione ad un golpe ucraino che aveva abolito la lingua russa in una regione a fortissima maggioranza russofona e con un percorso storico che non lascia spazio alla fantasia. Il potere vero, insomma, riconosce soltanto i referendum che garantiscono un vantaggio politico allo status quo, come abbiamo visto in Kosovo.
Un atteggiamento che lascia trasparire una fitta rete di interessi economici, politici e culturali. Del resto, anche in questo senso, i separatisti catalani che vengono sponsorizzati dai media nostrani incarnano perfettamente lo stereotipo del radical-chic odierno: immigrazionisti convinti, infarciti della retorica democratica rivendicativa, collezionisti di gessetti, liberisti quanto basta, pronti a sputare sulle frontiere e sulle spinte nazionali in nome di un vago senso di appartenenza territoriale, estimatori della burocrazia di Bruxelles, aperti sostenitori delle teorie di genere, campioni dell’antirazzismo e dell’antifascismo. Certo, non tutti i catalani sono così - anche tra gli indipendentisti - ma ciò che passa in televisione è assolutamente funzionale al leitmotiv del “pensiero unico” dominante. Non è un caso che, i separatisti arcobaleno, abbiano raccolto le simpatie dei principali sponsor globalisti, oggi impegnati a delegittimare la presenza di ogni punto di riferimento spaziale, etnico e valoriale in nome di un modello multietnico, liquido e sradicante.
Infine, alcuni dati: al referendum autoproclamato hanno votato il 41% degli aventi diritto, in un contesto che ha visto lo stesso elettore votare in cinque diversi seggi. E’ provato, quindi, che la percentuale sia ancora minore. Siamo davvero sicuri che con meno del 40% si possa decretare lo smembramento di uno Stato con secoli di storia alle spalle? Dove termina la “democrazia delle urne” e dove inizia il suo paradosso? Quello della Catalogna può essere un precedente pericoloso, perché se in nome degli sgravi fiscali è possibile ripensare l’integrità di uno Stato e proclamare l’indipendenza di una regione, il futuro delle entità nazionali è sottoposto al pericolo della disgregazione. E quest’ultimo, con buona pace dei padani, è il più bel regalo che si possa fare ai Soros di oggi e di domani: smembrare le Nazioni per sostituirle, definitivamente, con i dispositivi di mercato.

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